10 novembre 2008

ANGELUS - Lucio POZZI a Marone

Nell’ambito della sesta edizione di Meccaniche della Meraviglia, domenica 9 novembre, si terrà presso la Fabbrica ex Cittadini a Marone una performance di particolare interesse:
Lucio POZZI presenta presso la propria mostra a Marone una visita proposta nella lingua immaginaria da lui codificata e conosciuta internazionalmente con il nome “Pacciamìna”.


Il suo linguaggio, puramente fonetico, per la prima volta rappresentato nel 1975 a New York in occasione dell’azione A Declaration al 112 Greene Street, è espressione simbolica del non senso in contrapposizione ai significati convenzionalmente affidati alla realtà, e pone un importante interrogativo sulla veridicità di questa “pretesa”. “Pacciamìna – dichiara lo stesso Pozzi– è il nome dato dal mio fratellino Marcello alla lingua immaginaria con la quale giocavamo quando eravamo piccoli. Essa non ha alcun senso convenzionale. Esercizi in questo tipo sono stati rintracciati fino dai più antichi giochi di lingua degli imperi cinese ed egiziano. Questo lavoro si inserisce nel contesto delle mie decennali esplorazioni nei labirinti dei linguaggi d'arte”. La Visita Guidata di Pozzi è una combinazione poetica di azioni improvvisate, di speciale forza espressiva, e si arricchiscono dell’accompagnamento musicale del trombettista
Marco Murgioni.


In questa fabbrica abbandonata in Marone sul Lago d’Iseo fino al 16 novembre 2008, è allestita la mostra monografica Angelus con 20 installazioni dell’artista che rispondono al luogo.




Pozzi nasce a Milano nel 1935. Studia architettura a Roma e nel 1962 si trasferisce in America dove rimane per circa 40 anni. Qui insegna presso alcune delle università più prestigiose quali ad esempio Yale University, Princeton University e Maryland Institute of Arts. Attualmente si divide fra lo studio di Hudson (nello stato di New York) e lo studio di Valeggio sul Mincio, Verona. Insegna presso The School of Visual Arts a New York. Artista eclettico, Lucio Pozzi “si sottrae ad ogni clichè definitivo”. Il suo incontro con l’arte accade nello studio del patrigno, lo scultore Michael Noble che lo salva “dalla disperazione disorientata di adolescente”. Un incontro che segna indelebilmente il suo percorso professionale contraddistinto dal desiderio di usare mezzi espressivi differenti perché “i materiali, i processi, i concetti con cui lavoro – afferma – non sono al servizio di finalità esterne. Sono semplicemente la miniera dalla quale estraggo gli ingredienti che uso per quello che faccio”. Ciò è vero al punto che spiegare le sue intenzioni diviene impresa ardua poiché è lui stesso a dichiarare di non conoscerle, ossia non è necessario che l’artista spieghi le ragioni della sua opera. “Non esiste arte senza contesto, io descrivo le circostanze sia teoriche che tecniche delle mie opere ma mai il loro significato o la loro interpretazione”. Pozzi insiste e si prodiga a realizzare dipinti astratti e figurativi, costruire entità fotografiche, produrre azioni, fabbricare istallazioni e realizzare video. Per questo è ritenuto un artista “segretamente sovversivo”. Ha usato l’arte concettuale come punto di partenza per mettere in discussione i presupposti dell’arte stessa. Pozzi è convinto che “la coerenza di stile e di significato non dipendono dalle formule ma si rivelano senza calcoli preliminari nella pratica dell’artista”.